Nel corso degli anni ’90, presso il laboratorio di ricerca dell’Università di Parma, il Professor Rizzolatti insieme alla sua equipe, fece delle osservazioni scientifiche registrando l'attività elettrica delle cellule cerebrali nella corteccia premotoria di alcune scimmie; i risultati portarono alla scoperta di una tipologia nuova di neuroni, che si attivavano quando la scimmia afferrava un oggetto con la mano destra, con la mano sinistra, o con la bocca; nello specifico si scoprì che alcuni neuroni della scimmia “scaricavano”, (in termini neuroscientifici) non solo quando l’animale compiva un determinato compito, come ad esempio mangiare una banana, ma anche quando osservava lo sperimentatore compiere la stessa azione. In entrambi i casi avveniva l’attivazione degli stessi neuroni: quindi, è la stessa parte del cervello che si attiva sia nel pianificare il movimento sia nel vedere un altro individuo compiere la stessa azione. Per la loro particolare caratteristica, vennero denominati “neuroni specchio”.
Anche nell’uomo, grazie alle tecniche di elettroencefalografia fu possibile localizzare i neuroni specchio, identificando un circuito che comprende il lobo frontale, il parietale e in parte il lobo dell’insula. Si tratta di un sistema “mirror” simile a quello della scimmia; ogni volta che osserviamo qualcuno eseguire un'azione, oltre all'attivazione delle aree visive, si ha una concomitante attivazione di circuiti corticali motori che sono normalmente attivi durante l'esecuzione di quelle stesse azioni. Attraverso questa scoperta è stato possibile spiegare a livello scientifico qualcosa che intuitivamente si è sempre saputo: ovvero che osservando si impara!
Quest’affermazione si traduce nel semplice concetto che i neuroni specchio sono alla base dell’apprendimento, e di conseguenza anche della socialità, ma soprattutto dell’empatia che è l’aspetto che ci interessa maggiormente dal punto di vista psicologico.
“La capacità di entrare in empatia si manifesta fin dai primi mesi di vita ed è connessa per ciascun individuo con le prime interazioni con la madre, procede negli anni attraverso diverse fasi di sviluppo ed ha una funzione decisiva per la promozione dello sviluppo neuronale, soprattutto nei primissimi anni di vita” (Schore, 2008).
Comprendere le intenzioni altrui si traduce in un’esperienza empatica che giunge fino alla comprensione delle emozioni, e l’attività dei neuroni specchio permette la necessaria creazione di relazioni empatiche tra i diversi individui affinché si possa giungere a ciò: si è in grado di anticipare non solo le azioni ma anche le emozioni dell’altro. Attraverso la capacità di giungere agli stati d’animo altrui, si possono dedurre i vari gradi di relazioni affettive e sociali, i valori alla loro base, i comportamenti e le condizioni di agio o disagio degli altri individui, e tanto altro.
In psicologia, l’empatia è necessaria per comprendere lo stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona, in modo immediato, prevalentemente senza ricorso alla comunicazione verbale. Infatti, secondo un importante principio della psicologia della percezione, quando una persona dà voce a ciò che sente, chi ascolta fa esperienza delle sue emozioni e della sua rappresentazione del mondo. La “sintonia empatica” tra psicologo e paziente non dipende soltanto dal percepire e accogliere i vissuti che il parlare produce, ma anche dal fatto di restituirli e rispecchiarli a colui che parla; la relazione empatica è una condizione necessaria per la crescita e la trasformazione psicologica.
Un ulteriore capacità che abbiamo in funzione della particolarità di questi neuroni di cui disponiamo, è che attraverso il ragionamento si può comprendere ciò che non si “sente”, e viceversa, si può bloccare attraverso un percorso razionale e culturale l’azione dei neuroni specchio. È dato da ciò, il fatto che l’empatia si attiva maggiormente verso coloro che consideriamo più simili a noi: ad esempio, familiari, concittadini, quelli che appartengono alla stessa religione, allo stesso partito, o tifano per la stessa squadra di calcio. Al contrario, nei confronti di chi percepiamo tanto più diverso da noi, si attiva un’inibizione. Insomma, i neuroni specchio, potrebbero essere attivati o disattivati da fattori culturali secondo l’ultima frontiera della ricerca del Professor Rizzolatti. Il modo secondo cui questo meccanismo inibitorio o attivatorio da parte della cultura operi sui neuroni non è stato ancora identificato, ma sicuramente quando verrà alla luce sarà di supporto nelle terapie delle malattie psichiatriche.
In collaborazione con la Dott.ssa Alessandra Mungo
Laurea in Psicologia dei Servizi e delle Organizzazioni
Università Telematica Niccolò Cusano