Da diversi anni il termine “stress” è entrato a far parte del nostro linguaggio comune, ognuno di noi lo ha utilizzato almeno una volta per descrivere una situazione generale di disagio, di tensione, di preoccupazione o di ansia.
L'uso di questo concetto è molto generico, infatti il termine “stress” fa riferimento ad una sollecitazione, una tensione ed è usato per indicare una “spinta a reagire” esercitata sull'organismo da diversi stimoli esterni o interni all'individuo, definiti anche come stressor.
La definizione scientifica, elaborata da Hans Selye, descrive lo stress come“una risposta aspecifica a qualsiasi richiesta proveniente dall'ambiente”.
Con il termine “aspecifico” Selye intende sottolineare come stimoli differenti possano indurre una medesima risposta, chiamata stress, che ha come unico obiettivo quello di favorire un generale adattamento dell'organismo.
Invece il termine “qualsiasi” si riferisce all'entità dello stimolo, che non deve essere necessariamente negativo o dannoso, ma può anche essere piacevole, positivo e di qualsiasi natura: si può trattare infatti non solo di eventi straordinari ma anche di richieste ambientali già conosciute, ma percepite come eccessivamente intense dal soggetto che le vive.
Ciò che portò Selye alla formulazione di questa definizione, fu l’ipotesi, corroborata dai suoi
numerosi studi, che nei meccanismi biologici che presiedono le risposte di adattamento di un organismo a fronte di un agente nocivo, esistesse un insieme di segni e di sintomi tra loro correlati e coerenti tale da far pensare all’esistenza di una sindrome generalizzata di risposte, denominata successivamente “sindrome generale di adattamento” (SGA) o “stress”.
Di fronte a un pericolo ogni essere umano risponde inconsapevolmente con l'attivazione di un flusso di sostanze chimiche nel corpo, che amplifica immediatamente la forza fisica e i sensi, con l'obiettivo di preparare l'organismo ad entrare in azione.
Questa reazione è stata soprannominata dallo psicologo Walter Cannon come “risposta attacco-fuga” o “risposta allo stress”.
Questo meccanismo ha origine nel cervello, il quale elabora la minaccia proveniente dall'esterno e invia l'informazione alla corteccia cerebrale, che a sua volta attiva i muscoli affinché si preparino ad entrare in azione.
In secondo luogo, l'Ipotalamo attiva il sistema nervoso autonomo e l'Ipofisi, quest'ultima avvia la secrezione di importanti ormoni come il cortisolo, l'adrenalina e la noradrenalina, i quali preparano l'organismo ad affrontare un attacco improvviso: vista e udito si amplificano per rendere il soggetto più vigile, il glucosio viene rilasciato nel sangue per fornire un'immediata energia e certi vasi sanguigni si contraggono per dirigere il flusso sanguigno soprattutto ai muscoli e agli arti.
In questo modo la cosiddetta reazione “attacco-fuga” può salvarci la vita nei casi di minacce improvvise, ma tuttavia può divenire dannosa quando lo stress costituisce una condizione cronica e quotidiana.
Lo stress è costantemente presente nella nostra vita, attorno a noi ci sono molte semplici situazioni quotidiane che possono essere percepite come pericoli o minacce per il nostro vivere sereni, queste circostanze possono così attivare il sistema di attacco-fuga: pensiamo ad esempio ad un ingorgo stradale, ad una brutta diagnosi medica, ad un colloquio di lavoro o ad una litigata con il coniuge.
Quando questo tipo di meccanismo viene attivato troppo spesso a causa di pericoli frequenti, il suo effetto può provocare danni profondi alla salute fisica e mentale: numerosi studi hanno confermato come lo stress cronico sia associato a depressione, ansia, problemi cardiaci, alta pressione sanguigna, malattie respiratorie croniche minori o diabete.
Ma per quale motivo a volte, non siamo in grado di differenziare una circostanza pericolosa da una innocua?
Il nostro cervello può giocarci brutti scherzi, infatti non sempre riesce a distinguere gli eventi che mettono realmente in pericolo la nostra vita da quelli che sono invece degli agenti stressanti minimi, quotidiani e sopratutto superabili.
Numerose ricerche hanno confermato come questa capacità risulta particolarmente ridotta nei soggetti che hanno vissuto eventi fortemente traumatici: queste persone si sentono continuamente allarmate, anche di fronte ad eventi stressanti lievi e di minima entità, detti trigger o attivatori, cosicché la risposta attacco fuga si innesca troppo frequentemente, causando una serie di danni neuroendocrini e psicologici.
Durante tutto l'arco della giornata tutti noi siamo sottoposti a diversi stimoli esterni, ma non è lo stimolo in sè a determinare le conseguenze che andremo a sperimentare su di noi. Bisogna tenere presente che lo stress non è un elemento negativo per la nostra salute, bensì a fare la differenza sarà come noi viviamo la situazione stessa.
Per questo motivo è possibile distinguere due diverse tipologie di stress: uno stress positivo, definito anche come eustress, che ha le qualità di essere acuto e di breve termine, andando così a stimolare le persone ad attivare e rafforzare le proprie risorse personali; esiste poi uno stress negativo, chiamato anche distress, che si contraddistingue per essere eccessivo e prolungato, tale da causare danni alla salute e alle difese psicofisiche.
Se l'eustress ci permette di incanalare tutte le nostre risorse per raggiungere un obiettivo, il distress innesca un progressivo logorio delle nostre forze fisiche e psicologiche, in quanto attiva l'organismo
anche in assenza di eventi stressanti o in altri casi, impone all'organismo di reagire a stimoli di lieve entità in maniera sproporzionata, come se fosse in presenza di situazioni altamente pericolose e dannose alla sua sopravvivenza.
Scritto in collaborazione con la
Dott.ssa Chiara Ortolani
Laureata in Psicologia Clinica presso l'Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”